L’arancio amaro (Citrus × aurantium L.), detto anche melàngolo, oppure cedrangolo/cetrangolo, appartiene alla famiglia delle Rutacee. Si tratta di un ibrido derivante dall’incrocio tra pomelo e mandarino, originario del Sud-Est asiatico ma che da secoli cresce come specie autonoma e si propaga per innesto e talea nell’ambiente mediterraneo.
Gli Arabi lo coltivavano fin dal IX secolo e nei primi anni dell’anno Mille lo importarono in Sicilia. Le citazioni più antiche concernenti l’arancio amaro, risalenti al XII secolo, si trovano nell’opera di Hugo Falcandus: Historia Hugonis Falcandi Siculi de rebus gestis in Siciliae regno, che descrive le bellezze della Sicilia e cita la presenza di alberi fruttiferi tra cui gli agrumi, di cui si dice che abbiano “all’esterno una buccia colorata e odorosa e all’interno sono molto acidi”.
Lo scrittore Jacques de Vitry (XII-XIII secolo) nella sua Historia orientalis sostiene che i Crociati trovarono in Palestina il pomo d’Adamo, di incerta identificazione, i limoni, i pummeli e le arance amare. È possibile che i Crociati al loro ritorno riportassero questi frutti.
Il famoso agronomo bolognese Pietro de’ Crescenzi (1233-1320) scrisse, tra l’altro, un’opera di carattere agricolo e sanitario dal titolo Liber cultus ruris, basata essenzialmente su testi greci e latini, in cui trattava della coltivazione degli agrumi.

Grande notorietà viene attribuita a questo frutto nel periodo rinascimentale, quando l’arancia fu considerata il frutto dell’amore. Come ci informa, a metà del Cinquecento, l’agronomo bresciano Agostino Gallo le arance sono quelle che «hanno le scorze più amare (…) le quali sono perfette per fare la conserva».
Nell’arte le arance simboleggiavano anche la malinconia, in quanto l’amarezza che le rendeva peculiari e il richiamo alla malinconia sotto intendeva il dolore amoroso. L’unione tra questi due aspetti, amore e melanconia, la si può trovare nell’opera pubblicata a Venezia da Aldo Manuzio nel 1505: Gli Asolani di Pietro Bembo in cui si evidenzia il personaggio di Perottino, che rappresenta l’amore sfortunato e gli fa dire: «Perciò che amare senza amaro non si può, né per altro ispeto si sente giamai e si pate alcuno amaro, che per amore».
Esaminando l’aspetto etimologico, e risalendo indietro nel tempo, si può scovare che “amore” deve la sua etimologia ad “amaro”.[1] A questo frutto è concesso, inoltre, provocare o curare una malattia, anche se inizialmente continua a essere guardato con sospetto. Ne fornisce una testimonianza il proverbio: “Al mattino le arance sono d’oro, alla mezza sono d’argento e alla sera sono piombo”. Il detto popolare evidenzia che il frutto molto utile e digeribile al mattino, la sera potrebbe causare acidità di stomaco e creare interruzioni del sonno.
Le arance sono collegate metaforicamente sia all’amore, sia alla sessualità per il fatto che la pianta può portare contemporaneamente fiori e frutti. Caratteristiche che simboleggiano allo stesso tempo purezza e fertilità. Ecco spiegata anche una tradizione partita in età moderna e che si ritrova ancora nella contemporaneità: i fiori di arancio adoperati in Italia nel bouquet nuziale, o l’indicare le nozze con l’espressione fiori d’arancio. Queste infiorescenze potrebbero, quindi, rappresentare anch’esse la sessualità e la riproduzione.
L’inserimento del frutto nella Primavera di Sandro Botticelli, evidenzia un frutto mostrato come esageratamente arancione e sferico e come qualche studioso sostiene forse per enfatizzare la loro relazione con le palle dello stemma araldico mediceo.
A tal proposito, restando tra i membri della nobile famiglia fiorentina, si ricorda che papa Leone X, nel 1513, decise di celebrare il Carnevale con la manifestazione nota con il nome di Battaglia delle Arance. In effetti, questo frutto era già precedentemente associato con il Carnevale per la sua forma e colore, collegato al sole. Tale festeggiamento vuole, infatti, celebrare anche l’aumento delle ore di luce rispetto a quelle notturne, e il ritorno della fertilità.
Attualmente l’arancio amaro viene coltivato assieme a tutti gli altri agrumi, per i quali costituisce il migliore portainnesto. I frutti si trovano raramente sul mercato in quanto sono prevalentemente consumati dall’industria alimentare e farmaceutica.
Il frutto intero può essere utilizzato per preparare marmellate e scorzette candite, la buccia viene impiegata in liquoreria come ingrediente per curaçao e moltissimi amari. L’industria farmaceutica utilizza soprattutto la buccia per la preparazione di vari digestivi, tonici e oli essenziali.
L’arancio amaro è fondamentale per la profumeria: l’essenza di zagara, conosciuta anche con il nome di neroli, è un prodotto ottenuto dai fiori mentre il petitgrain è ottenuto dalla distillazione delle foglie e dei piccoli rami dell’arancio amaro.

[1] M. Montanari, Amaro, un gusto italiano, Editori Laterza, Bari-Roma, 2023
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