Sandra Ianni

La cura e la saggezza delle donne

 

Dea, vestale, levatrice, erborista, medichessa, sacerdotessa, santa, alchimista e strega, sono tante figure di donne apparentemente molto distanti ma in realtà profili diversi di uno stesso volto.

Già in epoca classica un intero immaginario, cosmologico e mitico, faceva da supporto alla medicina femminile e affondava le radici in una delle più antiche divinità dell’area mediterranea: Iside, dea della maternità, fertilità, magia e medicina. Dee potenti e padrone dei cicli vegetativi come: Era e Giunone. Dee della bellezza come Venere, ma anche sciamane, guaritrici, profonde conoscitrici delle piante magiche e curative. Senza dimenticare grandi medichesse come la bizantina Metrodora e Trotula deRuggiero della Scuola Medica Salernitana. Badesse come Hildegarda von Bingen, medichessa, scrittrice, veggente, diventata poi dottore della Chiesa, figura poliedrica e di grande spessore, simbolo di quella capacità femminile di costruire attorno al tema della cura non solo sapere scientifico ma anche una vera e propria filosofia della salute.

Gli archetipi della donna guaritrice hanno popolato le mitologie antiche e forgiato, al tempo stesso, un immaginario della medichessa che è soprattutto maga, ma che ben presto diventa strega. Poiché molto spesso la confidenza con la vis terapeutica delle erbe, era considerata parte integrante di un sapere esoterico, di cui si appropriavano donne sagge e misteriose, che ben conoscevano le proprietà delle erbe. Sapevano come ad esempio il giusquiamo (Hyoscyamus niger), pianta altamente tossica, avesse proprietà analgesiche e allucinogene e la utilizzavano come sedativo ed antidolorifico. Conoscevano la belladonna (Atropa belladonna), pianta velenosa ma che aveva il potere di calmare gli spasmi dovuti al parto e rasserenare la paziente. Di queste e di tante altre erbe selvatiche le donne erano grandi conoscitrici, questo le portava a stretto contatto con i vasti misteri della generazione della vita, così come del suo risvolto oscuro: la morte.

Al decadere di un’età arcaica aperta alla dimensione del femminile si impose, alle soglie dell’anno Mille, l’avvento di una nuova visione del mondo, quella androcentrica portatrice di un nuovo assetto patriarcale e guerriero che destabilizzò l’autorità delle antiche dee madri. Così quel sapere medico che per lungo tempo era stato accettato come parte naturale della polarità femminile, entrava in collisione con il nuovo ordine: fu accusato di alimentarsi di dottrine occulte, esoteriche, capaci di sovvertire l’assetto naturale del Creato. La medicina femminile cominciò a spostarsi verso una zona d’ombra che la portò gradualmente a scivolare nella clandestinità, in un percorso che conduce dalla visione della sacerdotessa guaritrice verso il prototipo della strega destinata ai roghi dell’Inquisizione.

Oggi la donna si sta riappropriando della cura, che non è solo farmaco o rimedio ma rimanda ad un insieme di attenzioni, che per secoli sono stati il regno indiscusso delle donne, e alla consapevolezza del rispetto della natura, della biodiversità; ma anche il rivalutare la conoscenza delle piante, degli usi terapeutici ed etnobotanici.

Molto pertinente al riguardo il racconto pervenutoci dallo storico romano Igino (I sec. a.C.). Il quale racconta che un giorno nell’attraversare un fiume la dea Cura sia stata attratta dal fango argilloso tanto da mettersi a modellarlo, traendone una piacevole scultura per la quale chiese a Giove di infondergli lo spirito vitale. Cura chiese, altresì, di poter imporre il proprio nome alla creatura, ma il dio glielo negò, sostenendo che il nome di quell’essere doveva provenire da lui, che gli aveva infuso la vita. Nacque così una disputa nella quale anche la Terra si inserì reclamandone la paternità poiché fatta della sua materia. Per risolvere la diatriba, fu chiamato a pronunciarsi Saturno, il cui giudizio stabilì che alla morte della creatura: a Giove, che aveva infuso lo spirito, sarebbe ritornata l’anima; alla Terra, della cui materia l’essere era composto, sarebbe tornato il corpo; ma a possederlo per tutta la vita sarebbe stata Cura, la prima a plasmarlo ed a custodirlo. Il nome, invece, non sarebbe stato scelto da nessuno dei tre contendenti: poiché l’essere si sarebbe chiamato “uomo” in quanto creato dall’humus.

Il ruolo di Cura appare oggi più che mai attuale nella nostra vita, nel cammino dell’anima. Forse proprio per questo ci troviamo insieme, al di là dei ruoli, delle professionalità e delle differenze di genere, a parlare di percorsi dell’anima, della dimensione umana e spirituale, della nostra vita. A porre attenzione alla “cura”, cioè ad imparare a co-esistere, a con-vivere, a costruire il proprio essere in relazione con altri e a fare degli altri un valore.

Sandra Ianni