Cultura Enogastronomica

MINESTRA? NON SEMPRE LA SOLITA

Il termine minestra è attestato, addirittura, nei primi decenni del Duecento. Usato per indicare un genere di pietanza della nostra più antica tradizione gastronomica, una vivanda a base di verdure, con aggiunta di riso o di pasta, di cereali e/o di legumi, da servirsi brodosa.

  • ETIMOLOGIA

L’etimologia della parola minestra proviene da minestrare, si tratta di una voce dotta derivante dal verbo latino ministrare, cioè  servire, prestare servizio a una mensa ma è da riferirsi anche a tutta la gamma di mansioni che chi serve può avere. Sono numerosissime le parole che etimologicamente si collegano a minister, esse vanno dall’amministratore al menestrello, dal mestiere al ministero, dal somministrare alla minestra.

Infatti, l’amministratore gestisce e guida, nell’interesse del proprietario; il menestrello anima le corti; il mestiere è sinonimo di professione; il ministero è un’amministrazione di vertice dello Stato; la somministrazione consiste nel distribuire assolvendo ad un particolare compito o ufficio, la minestra è letteralmente il pasto servito.

La prima apparizione nel dizionario italiano avviene nel 1839, quando il Cherubini cita il minestrón, o menestrón, tra le pagine del suo Vocabolario milanese-italiano (Milano 1839) e lo definisce come “quella minestra in cui entrano in compagnia riso, fagioli, cavoli cappucci, e spesso anche sedani, carota ecc. ecc.

  • METAFORE e MODI DI DIRE

La parola minestra ricorre anche nelle metafore che usiamo riguardo alla novità, ad esempio è sempre la solita minestra, per indicare che niente può essere nuovo o solito quanto il cibo quotidiano, quanto appunto la minestra. Quando parliamo di minestra riscaldata ci si riferisce al tentativo di proporre nuovamente un qualcosa come fresco quando invece non lo è.

  • STORIA DELLA GASTRONOMIA

Dal punto di vista gastronomico si rintracciano interessanti ricette di minestre nel Registrum coquine, ricettario composto, intorno al 1435, da Johannes de Bockenheim, cuoco del pontefice Martino V. Tra le numerose ricette figurano: ministrum de amigdalis (di mandorle) e minustrum de panis, e molte riflettono la nazionalità o la classe sociale del commensale, come ad esempio: ministrum pro Romanis, pro Alamanis, pro princibus, ecc.ecc.

Quando si parla di minestre non posso non chiamare in causa il grande Maestro Martino da Como, autore, a metà del Quattrocento, del manoscritto Liber de arte coquinaria, un caposaldo della letteratura gastronomica che segna il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale. Martino ci fornisce tantissime ricette di minestre tra cui la menestra de ravazzoli (rape), quella ai fiori di sambuco, de trippe, non mancano quelle di lenticchie o di mele cotogne, e nel periodo quaresimale quella con il Verzuso, una specie di agresto, un condimento ottenuto dalla cottura del mosto di uva acerba e dall’aggiunta di aceto e di spezie. Ecco la ricetta:

Per farne dece menestre: piglia una libra et meza d’amandole mondate in acqua tepida, et pistale molto bene como è dicto di sopra, mittendogli un pocha dacqua frescha perché non facciano olio. Et piglia una mollicha di pane biancho et mittila a moglio in bono agresto. Et poi piglia le sopra ditte amandole, et la mollicha, et del sucho daranci, et dell acqua rosa, et distempera in seme tutte queste cose, agiungendovi una oncia de cinamomo, et una libra di zuccharo fino. Et passa ogni cosa insemepe la stamegnia facendo questa compositione gialla con un pocho di safrano. Poi la mittirai a bollire in una pignatta discosta dal focho. Et guarda non piglie fume voltandola spesso col cocchiaro. Et vole bollire una octava dora vel circha.

Per avvicinarci al nostro tempo voglio citarvi una delle ricette di minestra tratta dal libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicato da Pellegrino Artusi per la prima volta nel 1891, a cui seguirono ulteriori quindici edizioni arricchite, ogni volta nel linguaggio e nelle proposte gastronomiche, grazie anche ai consigli e ai suggerimenti dei lettori. Le ricette passarono dalle 475 della prima edizione alle 790 dell’ultima, pubblicata postuma. Si tratta di una minestra confortante e veloce da preparare, ricetta del tutto simile alla romana Stracciatella, si tratta di una minestra molto diffusa tra Umbria, Marche e Emilia-Romagna, cioè la Minestra di Mille Fanti, cosi descritta dall’autore:

Mezzo uovo per persona è più che sufficiente per questa minestra, quando si è in parecchi. Prendete un pentolo e in fondo al medesimo ponete tanti cucchiaini colmi di farina quante sono le uova; aggiungete parmigiano grattato, odore di noce moscata, una presa di sale e per ultimo le uova. Frullate ogni cosa insieme ben bene e versate il composto nel brodo quando bolle, facendolo passare da un colino di latta a buchi larghi, rimestando in pari tempo il brodo. Lasciate bollire alquanto e servite.

  • LE MINESTRE DELLA TRADIZIONE

Tra le minestre di oggi, frutto della tradizione, ricche di sapori e ideali per le giornate più fredde non può mancare la napoletana minestra maritata, a base di verdure e di carne. Alcuni ne hanno individuato una versione simile già nel De Re Coquinaria di Apicio (I secolo d.C.), ma il suo arrivo ufficiale a Napoli sembra sia avvenuto nel 1300 per via della spiccata somiglianza con l’olla potrida, una specie di stufato di carne e verdure della cucina spagnola.

Molto gustosa la friulana jota, un minestrone a base di fagioli, cavolo cappuccio ed avanzi di maiale. A Roma la protagonista del cenone della Vigilia di Natale è una ricetta antica e umile, fatta con ingredienti particolarmente saporiti si tratta della minestra di broccoli in brodo di arzilla (razza chiodata).

Per non parlare poi della ribollita, detta anche minestra di pane, una pietanza a base di pane raffermo, verdure e fagioli che si prepara, come vuole la tradizione, in alcune zone della Toscana.

Dopo questo viaggio virtuale nel tempo non mi resta che concludere dicendo: “O mangi ‘sta minestra o ti butti dalla finestra!”. Frase che qualche esasperato genitore, un tempo passato, osava pronunciare, a tavola, alla prole schizzinosa.

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